sabato 23 maggio 2015

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martedì 27 agosto 2013

ROSH HASHANAH

1.- Perché un Capodanno nel settimo mese?

Il 3 del prossimo mese di ottobre corrisponderà al primo giorno del mese ebraico di Tishrì e sarà Rosh haShanah, cioè il Capodanno ebraico, il primo giorno del nuovo anno 5777. Ma, per chi non è addentro alle questioni ebraiche, si chiarisce che il mese di Tishrì non è, come ci si aspetterebbe, il primo mese del calendario ebraico, bensì il settimo ed a questo punto è naturale domandarsi come si sia realizzata questa anomalia.

Chiarificatore è, a questo proposito, l’articolo “Yom Teruah, How the Day of Shouting Became Rosh Hashanah” redatto da Nehemia Gordon e pubblicato da Karaite Korner, di sui si riportano qui di seguito i contenuti.

Nel 1 ° giorno del settimo mese (Tishrì) la Torah comanda di osservare “Yom Teruah” che significa "Giorno dello Strepito" (Lv 23,23-25; Nu 29:1-6). “Yom Teruah” è un giorno di riposo in cui è vietato lavorare, ma la Torah non specifica cosa celebri questo giorno. La Torah dà almeno un motivo per tutti gli altri giorni sacri e due motivi per alcuni di essi. Così la festa delle azzime commemora l'esodo dall'Egitto, ma è anche la celebrazione dell'inizio del raccolto dell'orzo (Esodo 23:15; Lev 23:4-14); la festa di “Shavuot” (settimane) è una celebrazione del raccolto del grano (Es 23,16; 34:22); ”Yom Ha-Kippurim” è una giornata nazionale di espiazione, come descritto nel dettaglio in Levitico 16; infine, la festa di “Sukkot” (Capanne) commemora il vagare degli Israeliti nel deserto, ma è anche una celebrazione della raccolta dei prodotti agricoli (Es 23,16). In contrasto con tutte queste altre feste “Yom Teruah” non ha un chiaro scopo oltre quello del riposo che ci viene raccomandato in questo giorno.

Il nome di “Yom Teruah” può fornire un indizio riguardo al suo scopo. Teruah letteralmente significa “strepito”, rumore forte. Questa parola può descrivere il suono di una tromba ma descrive anche il rumore fatto da un grande raduno di persone che gridano all'unisono (Nu 10,5-6). Per esempio:

" E avverrà quando il corno di montone fa un colpo lungo, quando si sente il suono dello shofar, l'intera nazione darà un grande grido, e le mura della città cadranno sul posto, ed il popolo salirà come un sol uomo contro di essa. "(Giosuè 6:5)

In questo versetto la parola "grido" appare due volte, la prima come forma verbale di “Teruah” e la seconda volta come la forma del sostantivo “Teruah”. Anche se questo versetto cita il suono dello “shofar” (corno di montone), le due specie di “Teruah” si riferiscono alle grida all'unisono degli Israeliti, seguite dalla caduta delle mura di Gerico. Ma “Yom Teruah” può anche intendersi come giorno di preghiera pubblica, considerato che la forma verbale di “Teruah” si riferisce spesso al rumore fatto da un raduno di fedeli chiamati a rivolgersi all’unisono all'Onnipotente.

In Levitico 23:24, “Yom Teruah” è indicato anche come “Zichron Teruah”. La parola “Zichron” è a volte tradotta come "ricordo" ma questa parola ebraica ha anche il significato di "designazione" spesso in riferimento al nome del Signore (ad esempio Es 3:15; Isaia 12:4;; 26:13; Sal 45 : 18). Il giorno della Zichron Teruah, diviene il giorno della "designazione del grido", e può riferirsi ad una giornata di raccoglimento in preghiera pubblica in cui la folla dei fedeli grida il nome del Signore all'unisono.

Oggi pochi ricordano il nome biblico di Yom Teruah e questo giorno invece è ampiamente conosciuto come "Rosh haShanah", che significa letteralmente "testa dell'anno" e quindi "Capodanno". La trasformazione di Yom Teruah (Giorno dello Strepito) in Rosh haShanah (Capodanno) è il risultato di una influenza pagana babilonese. La prima fase della trasformazione è stata l'adozione dei nomi babilonesi dei mesi. Nella Torah i mesi sono semplicemente chiamati come primo mese, secondo mese, terzo mese, ecc (Levitico 23; Numeri 28).Fu durante il loro esilio a Babilonia che gli ebrei cominciarono a utilizzare per i mesi i nomi babilonesi, così come citato nel Talmud:

" I nomi dei mesi sono venuti con loro da Babilonia.” (Talmud di Gerusalemme, Rosh haShanah 01:02 56d)

La natura pagana dei nomi dei mesi babilonesi è esemplificata in modo evidente dal quarto mese noto come “Tammuz”. Nella religione babilonese “Tammuz” era il dio del ciclo annuale del grano, che con la sua morte e risurrezione portava la fertilità al mondo. Nel libro di Ezechiele, il profeta ha descritto un viaggio a Gerusalemme, in cui vide le donne ebree piangere Tammuz sulla soglia del Tempio (Ezechiele 8:14). Esse piangevano Tammuz perché secondo la mitologia babilonese Tammuz era stato ucciso, ma non era ancora resuscitato. Nell'antica Babilonia il periodo in cui piangere Tammuz era all'inizio dell'estate, quando le piogge cessavano in tutto il Medio Oriente ed il verde della vegetazione era bruciato dal sole implacabile. Ancora oggi il quarto mese del calendario rabbinico è conosciuto come il mese di Tammuz ed è ancora un tempo per piangere e di lutto.

Alcuni nomi dei mesi babilonesi sono citati nei libri più tardi del Tanakh, ma appaiono sempre accanto ai nomi dei mesi della Torah. Per esempio, Esther 03:07 dice:

" Nel primo mese, che è il mese di Nissan, nel dodicesimo anno del re Achashverosh ".

Questo versetto comincia dando il nome della Torah per il mese ("primo mese") e poi traduce questo mese nel suo equivalente pagano ("che è il mese di Nissan"). Al tempo di Ester tutti gli ebrei vivevano entro i confini dell'impero persiano ed i Persiani avevano adottato il calendario babilonese per l'amministrazione civile del loro impero. In un primo momento gli ebrei utilizzarono questi nomi dei mesi babilonesi accanto ai nomi dei mesi della Torah, ma col tempo i nomi dati dalla Torah caddero in disuso.

Così come il popolo ebraico trovò più comodo l’uso dei nomi babilonesi per i mesi dell’anno, analogamente si manifestò una sensibilità anche verso altre influenze babilonesi. Si verificò che gli antichi Rabbini erano stati influenzati dalla religione pagana babilonese. Infatti anche se molti ebrei ritornarono in Giudea quando l'esilio si concluse nel 516 aC, molti rabbini rimasero a Babilonia, dove il giudaismo rabbinico a poco a poco aveva preso forma. Molti dei primi rabbini conosciuti, come Hillel erano nati ed erano stati educati a Babilonia. Infatti Babilonia rimase il cuore del giudaismo rabbinico fino alla caduta del Gaonato Babilonese avvenuta nell’ 11 ° secolo e.v.. Il Talmud babilonese abbonda di influenze del paganesimo babilonese. In realtà, le divinità pagane appaiono anche nel Talmud, ma sono riciclate come angeli e demoni.

L’influenza religiosa babilonese determinò la modificazione dello Yom Teruah in festa di Capodanno. Da tempi antichissimi i Babilonesi avevano un calendario lunisolare molto simile al calendario biblico. Il risultato fu che Yom Teruah spesso cadde nello stesso giorno della festa babilonese per il nuovo anno, conosciuta come "Akitu", che cadeva proprio nel 1 ° giorno di Tishrì e quindi coincideva con lo Yom Teruah del 1 ° giorno del settimo mese. Il fatto che gli ebrei avevano iniziato a chiamare il settimo mese con il nome babilonese Tishrì aprì la strada per trasformare Yom Teruah in un Akitu ebraico. Ma i rabbini non vollero adottare “Akitu” come nome definitivo, ma lo trasformarono giudaizzandolo, sicché “Yom Teruah” (Giorno del Grido) divenne “Rosh haShanah” (Capodanno). Il fatto che la Torah non avesse dato una motivazione per Yom Teruah rese senza dubbio più facile ai rabbini la proclamazione come Capodanno ebraico.

Può sembrare bizzarro celebrare Yom Teruah come Capodanno visto che cade il primo giorno del settimo mese, ma nel contesto della cultura babilonese questo era perfettamente naturale. I Babilonesi effettivamente celebravano Akitu, Capodanno, due volte ogni anno, una prima volta il primo di Tishrì e ancora sei mesi dopo il primo di Nissan. La prima festa babilonese Akitu coincideva con Yom Teruah e la seconda Akitu coincideva con gli anni effettivi e quindi, secondo la Torah, con il primo giorno del primo mese. Ma anche i rabbini, che proclamavano lo Yom Teruah come Capodanno, ammettevano contestualmente che il primo giorno del "primo mese" nella Torah sarebbe stato, come dice implicitamente il nome, anch’esso un capodanno. Essi non avrebbero potuto negare questo sulla base di Esodo 12:02 che dice:

" Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, ma è il primo dei mesi dell'anno. "

Il contesto di questo versetto parla della celebrazione della Festa del Pane Azzimo, che cade nel primo mese. Alla luce di questo versetto i rabbini non potevano negare che il primo giorno del primo mese era l’inizio di un Nuovo Anno biblico. Ma nel contesto culturale di Babilonia, dove è stata celebrata Akitu come Capodanno due volte l'anno, aveva un senso perfetto che Yom Teruah potesse essere un secondo Capodanno anche se era il settimo mese.

La Torah non dice, neanche implicitamente, che lo Yom Teruah abbia qualcosa a che fare con il Capodanno. Al contrario, per la festa di Sukkot (Capanne), che ha luogo esattamente due settimane dopo Yom Teruah, si fa riferimento in un verso come "all’uscita dell'anno" (Es 23,16). Nessuno avrebbe mai chiamato il 15 gennaio nel calendario occidentale moderno "uscita dell'anno" e la Torah non avrebbe descritto Sukkot in questo modo se avesse inteso Yom Teruah come un Capodanno.

Alcuni rabbini moderni hanno sostenuto che Yom Teruah è in realtà indicato come Rosh haShanah in Ezechiele 40:1 che descrive in una visione del profeta, "All'inizio dell'anno (Rosh haShanah) il dieci del mese". Il fatto che Ezechiele 40:1 si riferisca al decimo giorno del mese e non al primo dimostra che in quel contesto, Rosh haShanah non può significare "Capodanno". Al contrario, deve mantenere il suo senso letterale di "capo dell'anno", riferendosi al primo mese del calendario della Torah. Pertanto, il decimo giorno di Rosh haShanah in Ezechiele 40:1 deve intendersi riferito al giorno 10 del primo mese.


2.- Rosh haShanah nell’ebraismo riformato

Rosh haShanah è il Capodanno legale, uno dei tre previsti nel calendario ebraico, ed è il capodanno cui fanno riferimento gli atti legali; gli altri due sono il capodanno degli alberi che si richiama prevalentemente al ciclo dell’anno agricolo e cade il 15 di Shevat, in occasione di Tu BiShvat; il terzo è il capodanno eminentemente religioso e cade il giorno 14 del mese di Nisan per la festa di Pesach.
La Mishnah indica Rosh haShanah come il capodanno in base al quale calcolare la progressione degli anni e quindi anche le scadenze dell’anno sabatico e di quello giubilare.
Nella Torah vi si fa riferimento definendolo “il giorno del suono dello Shofar” (Yom Teruah, Levitico 23:24). La letteratura rabbinica e la liturgia descrivono Rosh haShanah come il “Giorno del giudizio” (Yom haDin) ed il “Giorno del ricordo” (Yom haZikkaron).
Nei Midrashim si racconta che Dio in questo giorno siede sul trono ed ha di fronte a Sé i libri che raccolgono la storia dell’umanità (non solo del popolo ebraico). Ogni singola persona viene presa in esame per decidere se meriti il perdono o meno.
La decisione, però, verrà ratificata solo in occasione di Yom Kippur. E’ per questo che i dieci giorni che separano queste due ricorrenze sono chiamati “i dieci giorni penitenziali”. In questi dieci giorni è dovere di ogni ebreo compiere un’analisi dell’anno trascorso ed individuare tutte le trasgressioni compiute nei confronti dei precetti ebraici. In particolare, poiché l’uomo deve essere rispettoso anche del proprio prossimo, sarà importante compiere l’analisi dei torti che si sono commessi a danno dei propri conoscenti. Una volta riconosciuto con sé stessi di avere agito in modo scorretto, occorre chiedere il perdono al danneggiato. Quest’ultimo ha di norma il dovere di acconsentire e concedere il proprio perdono. Solo in casi particolari si ha la facoltà di negarlo. Così, con l’anima del penitente, si è pronti ad affrontare lo Yom Kippur.
La festa dura due giorni sia in Israele che nella diaspora, ma è una tradizione recente. Esistono infatti testimonianze di come a Gerusalemme si festeggiasse solo il primo giorno ancora nel XIII secolo. Le scritture recano il precetto dell’osservanza di un solo giorno. E’ per questo che alcune correnti dell’ebraismo riformato festeggiano solo il primo giorno. L’ebraismo ortodosso e quello conservativo, invece, li festeggiano entrambi. (Wikipedia, Rosh haShanah)

Una delle caratteristiche peculiari di Rosh haShanah è il suono dello Shofar. In alcune comunità viene suonato tutte le mattine del mese di Elul, l’ultimo prima del nuovo anno. Il significato di questa usanza è quello di risvegliare il popolo ebraico dal torpore e ricordargli che sta avvicinandosi il giorno in cui verrà giudicato.

Nei giorni precedenti vengono recitate le “selichot” (preghiere penitenziali). A seconda delle tradizioni delle varie correnti, la recita delle selichot inizia in momenti diversi, dai 30 ai 10 giorni precedenti la festività di Rosh haShanah. Queste composizioni poetiche sono talmente importanti che nel giorno stesso della festività, alcune di queste, chiamate “piutim”, sono inserite all’interno della normale liturgia.

Nel pomeriggio che precede l’inizio della festività si usa fare il “tashlikh”, un lancio di oggetti presso uno specchio d’acqua (anche una fontana va bene) per liberarsi di ogni residuo di peccato. Tashlikh, “gettare via, buttare”, è una pratica antica dell’ebraismo, usualmente eseguita nel pomeriggio di Rosh haShanah, ma può essere osservata fino a “Hosnanah Rabbah” (Grande supplica/Osanna). I peccati dell’anno precedente sono simbolicamente “buttati via” recitando una sezione di Michea che allude alla liberazione simbolica dai peccati, gettandoli in un grande bacino di acqua corrente (come un fiume, un lago, il mare), lanciando quindi un sasso nell’acqua stessa. Il nome “Tashlikh” e la pratica stessa derivano dal passo di Michea (7:18-20) “Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati.


3.- Il Seder di Rosh haShanah

La sera di Rosh haShanah, all’inizio del pasto, dopo aver fatto il Kiddush, essersi lavate le mani e fatto “hamotzì” con il pane (1^ specie), si consumano le seguenti altre specie, recitando per ciascuna la relativa formula di benedizione.

2.- “Tenim” – Fichi
Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri, che Tu voglia rinnovare per noi un anno buono e dolce.

3.- “Kerà” – Zucca
Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri,, che venga strappato il cattivo giudizio decretato contro di noi e vengano invocati presso di Te i nostri meriti.

4.- “Ruv’ià” – Finocchio
Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri, che possano essere numerosi i nostri meriti.

5.- “Cheratì” – Porro

Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri, che vengano distrutti tutti coloro che ci odiano.

6.- “Silkà” – Bietola

Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri, che vengano allontanati i nostri nemici.

7.- “Temarè” – Dattero

Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri, che finiscano coloro che ci odiano.

8.- “Rimon” – Melagrana

Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri, che numerosi siano i nostri meriti come una melagrana.

9.- “Rosh Chevesh” – Testa di agnello

Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri, che possiamo essere di testa e non di coda, ricorda in nostro favore il sacrificio di Isacco. (In sostituzione della testa di agnello si metterà in tavola comunque della carne).

10.- “Daghim” – Pesci

Sia Tua volontà o Signore, Dio nostro e Dio dei nostri padri, che possiamo prolificare e aumentare come i pesci e Tu ci sorvegli con occhi attenti.


4.- Rosh haShanah: il giorno del giudizio annuale

Tradizionalmente quindi “Rosh Hashanah” è il giorno del giudizio, ossia il giorno in cui l’uomo sta dinanzi a D-o, per essere giudicato e per attendere che venga stabilito il suo destino per l’anno che sta per iniziare. Il pentimento durante il periodo che va da “Rosh Hashanah” a “Kippur” (allungato secondo la tradizione popolare di altre due settimane, fino a “Hosha’nà Rabbàh”) può migliorare l’esito del giudizio, ma alla conclusione di quel periodo il decreto è “suggellato”.

Il trattato Rosh Hashanah della Mishnah riporta a questo proposito i pareri espressi da Rabbi Yossi e Rabbi Natan. Disse Rabbi Yossi: “L’uomo è giudicato ogni giorno.” (Rosh Hashanah 16a); e Rabbi Natan aggiunse: “L’uomo è giudicato ogni ora.

Queste parole pongono un problema di armonizzazione con il significato di “giorno del giudizio” attribuito a Rosh Hashanah. Ci si chiede infatti: se l’uomo è giudicato ogni giorno in che cosa si distingue Rosh Hashanah da ogni altro giorno? E se l’uomo è giudicato ogni ora, che significato ha l’idea di una data e di un tempo particolari fissati per l’espressione del giudizio?

Senza alcun dubbio le parole di Rabbi Yossi e di Rabbi Natan esprimono la più profonda aderenza religiosa in quanto non vi è alcun momento della vita dell’uomo che sia esente dal giudizio. E allora possiamo dire che Rosh Hashanah è più propriamente il giorno del giudizio annuale, nel quale verrà fatto il bilancio consuntivo di tuttti i giudizi espressi nel corso dell’anno, nonché giorno dello strepito, del suono di allarme dello Shofar, che ricorda all’uomo che egli è sottoposto a giudizio in modo permanente, in ogni istante della sua vita.

VAYELECH (Deu.31,1-31,30)

Continuò Mosè a parlare al popolo d’Israele e disse loro: “Io sono ormai giunto all’età di centoventi anni e non posso più andare e venire con facilità ed il Signore mi ha detto: Tu non passerai questo Giordano.

Giosuè vi condurrà al di là del Giordano, prosegue Mosè, distruggerete quei popoli e vi comporterete con loro secondo i precetti che vi ho comandato. Siate forti e coraggiosi non abbiate timore e non vi scoraggiate davanti a loro, perché il Signore vostro Dio verrà insieme a voi, non vi lascerà e non vi abbandonerà.

Mosè chiamò Giosuè e davanti al popolo gli disse: “Sii forte e coraggioso perché tu perverrai con questo popolo alla terra, che il Signore giurò di dare ai loro padri, e tu la darai loro in possesso, Quanto al Signore Egli sarà colui che ti precederà, Egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà, non temere e non aver paura.

Ed ai sacerdoti che portavano l’Arca ed agli anziani d’Israele Mosè dette questo ordine: “Al termine dei sette anni, nel tempo della remissione, durante la festa delle capanne, quando tutto Israele verrà a presentarsi davanti al Signore tuo Dio nel luogo che avrà scelto, leggerai questa legge al cospetto di tutto Israele in modo che essi la odano, Convoca il popolo, uomini, donne e bambini e il forestiero che abita nelle tue città, affinché ascoltino, imparino e temano il Signore vostro Dio e osservino, per attuarle, tutte le parole di questa legge. I loro figli poi, che non le avessero conosciute prima, udranno e impareranno a temere il Signore vostro Dio per tutto il tempo in cui vivrete sulla terra, per possedere la quale, voi vi accingete a passare il Giordano.

Quindi il Signore disse a Mosè che si avvicinava ormai il momento della sua morte e che chiamasse quindi Giosuè per avvicinarsi insieme alla tenda della radunanza, dove Egli avrebbe impartito le Sue disposizioni.

Mosè e Giosuè fecero come il Signore aveva richiesto e si avvicinarono alla tenda della radunanza e il Signore si manifestò all’interno della tenda in una colonna di nube che si fermò sulla porta della tenda stessa. E disse il Signore a Mosè: “Ecco, tu stai per andare a riposare presso i tuoi padri e questo popolo fornicherà dietro agli dèi stranieri del paese nel quale egli si stanzierà. Mi abbandonerà e violerà il patto che Io ho stabilito con lui. Allora la mia ira divamperà e nasconderò loro la mia faccia, diventeranno cibo per i loro nemici e grandi disgrazie capiteranno loro. In quel tempo il popolo dirà: ‘Certamente per il fatto che il Signore non è più in mezzo a noi, ci sono capitati tutti questi mali.’ Ed Io continuerò a nascondere la mia faccia in quel giorno, per tutto il male che esso fece, perché si rivolse ad altri dèi.

L’idolatria quindi, sarà l’idolatria che perderà il popolo d’Israele. Idolatria, adorazione di altri dèi, culto e desiderio di idoli che offuscano la mente al punto di dimenticare il patto con il Signore. Idoli, parola che raggruppa in sé il desiderio del potere o della ricchezza, o il desiderio di una donna, o più semplicemente il nostro egoismo, la chiusura del cuore all’altro, al nostro simile che ci ha chiesto di ascoltarlo.

Ordina quindi il Signore di scrivere ed imparare un cantico che egli sta per dire e di insegnarlo ai figli d’Israele, perché quando capiteranno al popolo grandi mali e disgrazie, dopo che per l’ennesima volta avrà adorato altri dèi, questo canto testimonierà per esso e non verrà dimenticata la sua progenie. Mosè scrisse il cantico e lo insegnò ai figli d’Israele, poi disse a Giosuè: “Sii forte e coraggioso, perché, dice il Signore, tu condurrai i figli d’Israele nella terra che Io giurai di dar loro ed Io sarò con te.

Mosè terminò di scrivere le parole di questa legge su di un libro ed ordinò ai Leviti che portavano l’Arca:
Prendete questo libro della legge e ponetelo da una parte entro l’Arca del patto del Signore vostro Dio e resti là per testimonianza, poiché io conosco il vostro istinto ribelle e la durezza della vostra cervice; se oggi mentre sono ancora vivo in mezzo a voi, voi vi siete ribellati al Signore, tanto più lo sarete dopo la mia morte. Radunate presso di me tutti gli anziani delle vostre tribù e i vostri capi e io dirò loro queste cose chiamando a testimoni il cielo e la terra. Perché io so che dopo la mia morte voi vi corromperete e vi allontanerete dalla via che io vi indicai. Disgrazia vi incoglierà in avvenire quando farete ciò che è male agli occhi del Signore, facendolo adirare con le vostre azioni.

E allora Mosè si accinse a pronunciare le parole della cantica, come vedremo nella prossima Parashah conclusiva del libro del Deuteronomio e della Torà.

Shavuà tov.
Danièl Siclari.


Haftarà di Vayelech
Secondo l’uso di alcune comunità

Così dice il Signore: ‘Osservate il diritto e fate giustizia, perché vicina a venire è la Mia salvezza, e la Mia giustizia a manifestarsi. Felice l’uomo che fa questo, il figlio dell’uomo che in questo persevera: chi onora il sabato si da non profanarlo e sorveglia la sua mano sicché non faccia nulla di male. E non dica il figlio dello straniero che si è aggregato al Signore: ‘Il Signore mi ha tenuto separato dal Suo popolo’. E non dica chi non è atto a generare: ‘Io sono un albero secco’. Perché così dice il Signore a proposito di coloro che non sono atti a generare, ma osservano i Miei sabati, scelgono quello che a Me piace e si mantengono fedeli al Mio patto: Io darò a loro nella Mia casa ed entro le Mie mura forza e rinomanza, meglio di figli e di figlie; rinomanza eterna che mai non perirà darò a ciascuno di loro. E i figli dello straniero che si aggregano al Signore per prestargli culto, per amare il nome del Signore e per essere Suoi servi, chiunque osservi il sabato sì da non profanarlo, e quelli che si mantengono fedeli al Mio patto, Io li farò venire al monte a Me consacrato, li rallegrerò nella casa in cui Mi si rivolgono le preghiere, i loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul Mio altare, perché la Mia casa sarà proclamata casa di preghiera per tutti i popoli. Detto del Signore Dio che raduna i figli d’Israele: radunerò ancora altri intorno ai radunati di Israele.
(Is.55,6-56,8)


Haftarà di Vayelech
Secondo l’uso della maggior parte delle comunità.

La haftarà contiene richiami alla penitenza e implorazioni alla misericordia divina.

… Io lo esaudirò e lo sorveglierò, Io sarò come un cipresso verdeggiante, da Me verrà il tuo frutto. Chi è saggio comprende queste cose, chi è intelligente le sa, perché le vie del Signore sono rette: i giusti vi cammineranno e i colpevoli vi inciamperanno.
(Os.14,2-14,10)

Egli tornerà ad avere misericordia di noi, calpesterà le nostre iniquità, e Tu getterai negli abissi del mare tutti i loro peccati.
(Mi.7,18-7,20)

“E voi mangerete a sazietà e loderete il Signore vostro Dio che ha compiuto per voi prodigi e il Mio popolo non soffrirà mai più onta.
(Jo.2,15-2,27)

NITZAVIM (Deu.29,9-30)

Nitzavim”, presenti, siete tutti qui presenti davanti al Signore, dice Mosè al popolo, tutti: uomini e donne, giovani e anziani ed anche il forestiero che lavora presso di voi. Siete qui per accettare il patto del Signore vostro Dio ed il Suo anatema, così come Egli intende stabilire con voi che siete qui presenti, ma anche con quelli che oggi non sono qui con noi, le generazioni passate e le generazioni future.

Egli ti costituirà come Suo popolo e ti sarà come Dio, come ti disse e come giurò ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe.

Ma se ci sarà tra voi un uomo o una donna, una famiglia o una tribù che si distoglie dal Signore Dio nostro, prosegue Mosè, per andare ad adorare gli dèi che hanno le altre nazioni, allora l’ira del Signore divamperà e costoro non saranno perdonati e su di essi si poserà l’anatema ed i loro nomi saranno cancellati da sotto il cielo. Anatema dunque per l’idolatria, l’idolatria che è sempre il punto centrale della violazione della legge del Signore, di tutti i precetti che Egli ha dettato al Suo popolo. Perché tutti i delitti sono riconducibili ad una base comune che si identifica nell’idolatria. L’assassino che ha dimenticato la legge del Signore e che ha anteposto all’amore per il Signore l’odio per un suo simile, che ha dimenticato che il suo simile è una creatura del Signore e che, in quanto da Lui creata, egli non avrebbe potuto e dovuto distruggerla, ebbene l’assassino è un idolatra in quanto ha rimosso l’amore del Signore per sostituirlo con l’odio per un essere umano. Il ladro è un idolatra perché ha eretto ad idolo il denaro, la ricchezza, ed ha dimenticato l’amore del Signore. Idolatra è l’adultero perché ha anteposto l’amore per una donna all’amore per il Signore. Idolatra è chi rende falsa testimonianza perché antepone al Signore il suo tornaconto. Idolatra è chi diffonde maldicenza o calunnia ai danni del proprio simile, perché ha rimosso il rispetto del precetto di amore richiesto dal Signore ed ha elevato al suo posto l’ambizione di affermare la propria persona, elevandola con la sminuizione della dignità dell’altro. Idolatra è colui che desidera la cosa d’altri perché ha dimenticato l’amore per il Signore ed ha eretto ad idoli i propri desideri.

Le generazioni future e lo straniero che verranno a vedere le piaghe ed i mali che avranno colpito coloro che si saranno distolti dal Signore diranno: “E’ proprio come la distruzione di Sodoma e Gomorra, di Admà e Tzevoim, che il Signore operò nella Sua ira e nella Sua collera”.

E tutte le nazioni domanderanno: “Perché il Signore ha fatto così a questo paese? Qual’è la ragione di questa grande ira?”.

Ed a loro sarà risposto: “Perché hanno abbandonato il patto del Signore, Dio dei loro padri, che stabilì con loro quando li fece uscire dalla terra d’Egitto. Essi si posero a servire altri dèi e si prostrarono loro, a dèi che non conoscevano e che il Signore non dette loro in eredità. Pertanto l’ira del Signore divampò contro quel paese portando contro di esso tutte le maledizioni che sono scritte in questo libro. Il Signore li sradicò dalla loro terra con sdegno, ira e grande collera e li gettò in un altro paese com’ è ancor oggi”.

Ma che sarà di coloro che saranno stati dispersi in altre nazioni e che poi rifletteranno e che vorranno tornare al Signore e ne ascolteranno la voce? Costoro il Signore li farà tornare e li tratterà con benevolenza. Circonciderà il Signore il loro cuore e quello della loro discendenza affinché essi con i loro cuori così dischiusi possano amare il Signore loro Dio con tutta la loro anima e possano così vivere lungamente.

Il Signore farà prosperare chi darà ascolto alla Sua voce ed osserverà i Suoi precetti ed i Suoi statuti. Perché i precetti non prescrivono di fare cose fuori dalla portata dell’essere umano, ma sono cose che egli potrà eseguire con la bocca e con il cuore ed in questo modo potrà vivere, moltiplicarsi ed essere benedetto dal Signore.

Chi invece chiuderà il proprio cuore e non ascolterà e si farà trascinare verso l’idolatria sarà perduto e non prolungherà la sua permanenza nella terra promessa ai suoi padri.

Io chiamo a testimoni per voi oggi il cielo e la terra: io ho posto davanti a voi la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita onde viviate tu e la tua discendenza amando il Signore tuo Dio, ascoltando la Sua voce e rimanendo a Lui avvinti, perché Egli è la tua vita e la lunghezza dei tuoi giorni, abitando nella terra che il Signore giurò di dare ai tuoi padri, ad Abramo, ad Isacco ed a Giacobbe”.

L’idolatria distoglie dal Signore ed è causa di rovina. Gli idoli sono tanti e non sono solo quelli di pietra o di legno o di metallo. Gli idoli sono le deviazioni, sono tutto ciò che ci distoglie dall’amore per il Signore e dall’eseguire i suoi precetti. L’essere umano è certamente fatto anche di sentimenti, di interessi, di passioni, che di per sé però non costituiscono né il male né il bene, ma semplicemente sono elementi che il Signore ha creato e che vanno a comporre il complesso dell’essere umano. Questi elementi, queste prerogative sono quindi affidati all’essere umano che si trova così impegnato a gestirli ed è nella fase di gestione che entra in campo la responsabilità dell’individuo e quindi l’amministrazione dei propri desideri, delle proprie passioni, dei propri sentimenti, per far sì che questi non vadano a soffocare l’esigenza primaria e fondamentale dell’amore per il Signore e dell’osservanza dei suoi precetti.

La narrazione si conclude con una luce che è la permanente possibilità di recupero per chi si sia distolto dal Signore e si sia successivamente pentito e desideri tornare a Lui. Il Signore mostrerà sempre benevolenza verso chi avrà aperto il proprio cuore al Suo amore.

Shavuà tov.
Danièl Siclari


Haftarà di Netzavim
Secondo il rito italiano
(Gio.24,1-24,18)

Giosuè, giunto agli ultimi giorni della sua vita, raduna tutte le tribù con i loro anziani, i capi, i giudici, gli ufficiali, presso Shechem e qui parla loro ricordando tutte le vicende che il popolo ha vissuto da quando uscirono dalla terra oltre l’Eufrate guidati da Abramo, a quando Giacobbe ed i suoi figli si recarono in Egitto. Rammenta quindi l’uscita dall’Egitto, la traversata del Mar Rosso ed il lungo viaggio nel deserto per giungere alla terra promessa.

Ora, dice Giosuè, se non vi piacesse servire il Signore, sceglietevi chi volete adorare, se gli idoli che avevate al di là dell’Eufrate, o quelli che avete servito in terra d’Egitto. Io e la mia famiglia, conclude Giosuè, serviremo il Signore.

E il popolo unanime disse: “Anche noi serviremo il Signore, perché Egli è il nostro D-o.


Haftarà di Netzavim
Secondo i riti spagnolo e tedesco
(Is.61,10-63,9)

“Non si dirà più di te: abbandonata, e della tua terra: è una desolazione, ma tu sarai chiamata: il Mio amore è in te, e la tua terra maritata, perché il Signore ti amerà e il tuo paese avrà marito. Come un giovane sposa una fanciulla, ti sposeranno i tuoi figli, e come uno sposo gioisce della sposa, gioirà di te il tuo D-o.”

“Il Signore ha giurato per la Sua destra e per il Suo forte braccio: non darò più il tuo grano in cibo ai tuoi nemici, e gli stranieri non berranno più il tuo vino per il quale ti sei affaticata.”

“Ecco il Signore proclama agli abitanti della terra fino alle sue estremità: Dite a Sion: Ecco la tua salvezza viene, ecco Egli porta con sé la Sua mercede e davanti a Lui è la Sua retribuzione. Ed essi saranno chiamati: popolo santo, redenti dal Signore, e tu sarai chiamata: città ricercata, non abbandonata”


La salvezza di Israele viene rappresentata allegoricamente come avvenuta ad opera di un uomo forte, che simboleggia il Signore:

“Perché c’è del rosso nei Tuoi abiti, e i Tuoi vestiti sono come di chi pigia nel torchio?”

“Ho pigiato da me solo nel torchio, nessuno dei popoli era con Me, ed Io li ho calcati con il Mio furore, pestati con la Mia ira, il loro sangue è spruzzato sui Miei abiti, ed Io ho insudiciato tutti i Miei vestiti, perché il giorno della vendetta che era nel Mio cuore e l’anno della Mia redenzione sono giunti.”

domenica 18 agosto 2013

KI TAVO' (Deu.26-29,8)

"Ki Tavò", quando giungerai, con queste parole inizia questa parashà. Quando giungerai, dice Mosè al popolo, nel paese che il Signore ti darà e lo avrai conquistato, raccoglierai in un cesto le primizie di tutti i frutti di quella terra e lo porterai al luogo che il Signore avrà scelto per il Suo Santuario. Dirai al Sacerdote che troverai al Santuario:

Dichiaro oggi al Signore tuo Dio che sono giunto nel paese che Egli giurò di dare ai nostri padri.

E quando il Sacerdote avrà collocato il tuo cesto davanti all’altare del Signore, dirai ancora:

Un arameo nomade era mio padre. Egli se ne andò in Egitto e vi abitò con pochi uomini; là divenne una grande nazione, potente e numerosa. Ma gli Egiziani ci perseguitarono e ci afflissero e ci sottomisero ad una dura schiavitù. Allora noi gridammo al Signore Dio dei nostri padri ed Egli ascoltò la nostra voce, vide la nostra afflizione, il nostro travaglio e la nostra oppressione. Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio disteso, e con grande spavento, con prodigi e con miracoli ci condusse in questo luogo e ci dette questa terra stillante latte e miele. Ecco io ho portato ora le primizie dei frutti della terra che Tu hai concesso a me, o Signore.

Arameo nomade” così viene per lo più tradotto “aramì ovèd”, ma a questo proposito vi sono alcune considerazioni da mettere in evidenza.

Aram” si riferisce fondamentalmente alla Siria e così solitamente viene tradotto questo nome (Gdc 10:6; 2Sam 8:6;15:8; Os 12:13). In particolare “Paddan-Aram” indica la zona intorno alla città di “Haran” nell’alta Mesopotamia (Ge 25:20;28:2,7,10). Il patriarca Abramo aveva risieduto, ma solo temporaneamente, ad “Haran”, nella regione di “Paddan” (Ge12:4;28:7,10). Successivamente, suo figlio Isacco e poi suo nipote Giacobbe qui trovarono moglie fra i discendenti dei suoi parenti (Ge 22:20-23;25:20;28:6). Ma Giacobbe in particolare trascorse ben 20 anni in “Paddan” al servizio del suocero Labano (Ge 31:17,18,36,41). Perciò si è portati a pensare che con la locuzione “arameo errante” ci si riferisca a Giacobbe.

Meno univoco è il significato di “ovèd” (אֹבֵד), che può variare a seconda che si tratti di un aggettivo (“misero”), di un sostantivo (“nomade”) o di un participio (“morente”, “errante”). L’”Hebräisches und Aramäisches Lexicon zum Alten Testament” (E. J. Brill, Leiden, 1967) traduce ovèd con “rovina” (Nm 24:20,24) e pertanto la traduzione diverrebbe: “Mio padre era un arameo in rovina”. Il “Dizionario di ebraico ed aramaico biblici” (Philippe Reymond, 2^ ed. it., Roma 1995) segnala anch’esso per la radice di ovèd il significato di “perire” (Nu 17:27), “andare in rovina” (Es 10:7), “scomparire” (Nm 16:33). La tradizione ebraica, come segnala Bruno Di Porto nel suo commento alla parashà, conserva anche un’altra versione delle parole “aramì ovèd”, che dovrebbero tradursi “un arameo che ha rovinato mio padre”.

Tutto questo per dimostrare quanto sia a volte complessa la ricerca della traduzione del testo sacro e quanto possa essa alimentare il tradizionale “pluralismo ebraico”. Personalmente preferisco la traduzione “arameo errante”, dove la parola errante esprime molto di più della parola nomade, perché nomade è il pastore che si sposta secondo le necessità del suo gregge, mentre errante è colui che è spinto ad esserlo per l’incontenibile impulso che la sua anima gli detta, come se ad un certo punto una voce da dentro gli intimasse di alzarsi e andare.

Le parole “il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio disteso”, si ricollegano a quanto è detto in Esodo (14,15 e 16):

E il Signore disse a Mosè: - Perché tu esclami a me? Ordina ai figli d’Israele di mettersi in cammino. E tu alza la tua verga, stendi il tuo braccio verso il mare e fendilo, e i figli d’Israele potranno attraversare il mare all’asciutto. …

Tornando alla narrazione della parashà troviamo la prescrizione, in occasione della raccolta delle decime annuali, di mettere da parte quelle del terzo anno per darle al Levita, al forestiero, all’orfano ed alla vedova e di dichiarare davanti al Signore:

Ho tolto le cose consacrate dalla mia casa e le ho date al Levita, al forestiero, all’orfano, alla vedova secondo tutte le prescrizioni che Tu mi hai comandato; non ho trasgredito ai tuoi precetti e non li ho dimenticati. Quando fui in lutto non ne mangiai né feci alcun prelevamento essendo impuro né detti parti di esse per qualche morto; ho dato ascolto al Signore mio Dio, ho fatto secondo quanto mi hai comandato. Dalla residenza della Tua santità, dal cielo, volgi a noi lo sguardo e benedici il Tuo popolo Israele, e la terra che ci hai dato come giurasti ai nostri padri, una terra stillante latte e miele.

Nel capitolo 27 Mosè e gli anziani comandano che, nel giorno in cui il popolo passerà il Giordano per entrare nel paese che il Signore sta per dargli, le tribù si schierino secondo un ordine stabilito sui monti Eval e Gherizim. Sul monte Eval verrà costruito un altare di pietre intere sul quale presentare le offerte di “olocausto” e di “scelamim”, e qui saranno erette delle grandi pietre intonacate a calce sulle quali verranno scritte le parole di benedizione e di maledizione che Mosè andrà a pronunciare. Segue quindi, e fino al termine del capitolo, l’enunciazione delle maledizioni che verranno pronunciate a fronte di specifiche violazioni della legge. La prima delle maledizioni sarà quella che i Leviti scandiranno a voce alta rivolti a tutto il popolo d’Israele:

Sia maledetto colui che costruirà immagini scolpite o fuse, aborrite dal Signore, opera delle mani di un artigiano, e le tenga nascoste; tutto il popolo risponderà e dirà: Così sia!

L’idolatria dunque, torna sempre l’idolatria quale prima e fondamentale violazione della legge del Signore e l’idolatria abbiamo già visto che può presentarsi sotto diverse sembianze: idolatria non è solo adorazione di immagini di pietra o di metallo o dipinte, idolatria è l’amore per il denaro, per il potere o per un altro essere umano fino al punto di anteporlo all’amore per il Signore ed all’osservanza delle Sue leggi. L’ultima delle maledizioni poi le riassume e le assomma un po’ tutte in sé:

Sia maledetto colui che non adempirà le parole di questa legge e non le eseguirà; e dirà tutto il popolo: Così sia!

Il capitolo 28 inizia enunciando tutte le benedizioni che verranno al popolo d’Israele per avere ascoltato la voce del Signore, benedizioni di prosperità per i prodotti della terra, per gli animali e benedizioni per i propri figli:

Il Signore ti stabilirà come Suo popolo consacrato, come ti ha giurato, e tu osserverai i precetti del Signore tuo Dio e procederai nelle Sue vie. Tutti i popoli della terra osserveranno che tu sei il popolo chiamato con il nome del Signore e ti temeranno.

Ma dopo questo inizio la maggior parte del capitolo prosegue poi enumerando in modo aspro e terribile tutte le disgrazie che ricadranno sul popolo se non avrà osservato la legge del Signore:

Ma se tu non ascolterai la voce del Signore tuo Dio, osservando tutti i Suoi precetti e i Suoi statuti che io ti comando oggi, verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni.

Per rendere l’idea della durezza di queste pagine riporto alcune delle maledizioni enunciate:

Il Signore manderà contro di te la maledizione, il panico e la disgrazia in qualunque iniziativa tu intraprenda, in modo da mandarti in rovina e in perdizione in fretta, a causa della malvagità delle tue azioni, avendomi tu abbandonato.

Il Signore ti farà fuggire davanti ai tuoi nemici; andrai contro di loro per una via e fuggirai per sette vie dinanzi a loro e sarai causa di orrore per tutti i regni della terra.

Il Signore condurrà te ed il re che tu avrai eletto sopra di te presso una nazione che non conoscesti né tu né i tuoi padri e là servirai altri dèi di legno e di pietra. Sarai oggetto di stupore, sarai portato come esempio di sventura e schernito da tutti quei popoli presso i quali il Signore ti condurrà.

E più avanti, dopo questa maledizione, che si riferisce palesemente alla cattività babilonese, viene ripresentata un’immagine analoga:

Il Signore susciterà contro di te una nazione da lontano, dall’estremità della terra, che si getterà su di te come fa l’aquila, una nazione di cui non conosci la lingua. Una nazione fiera che non porta rispetto al vecchio e che non sente pietà per il bambino. Essa divorerà il frutto dei tuoi animali e il frutto della tua terra fino a rovinarti perché non lascerà per te né grano né mosto né olio né vitelli né agnelli fino a farti morire. Ti assedierà in ogni tua città fino a che non cadranno le tue mura alte e fortificate nelle quali tu riponevi tanta fiducia in tutto il tuo paese; ti porrà l’assedio in tutte le tue città, in tutta la tua terra che il Signore tuo Dio ti ha dato.

Questa maledizione si riferisce ad un’altra disgrazia, sia perché non avrebbe avuto senso parlare ancora della cattività babilonese, sia perché in questa frase ci sono degli elementi diversi:
- La nazione lontana è paragonata all’aquila, e l’aquila era sulle insegne romane.
- Della nazione romana non si conosceva la lingua, mentre con Babilonia c’era una lunga tradizione di rapporti.
- Quella romana fu un’occupazione coloniale, quindi di sfruttamento delle risorse nel paese occupato, al contrario di quella babilonese che si risolse invece nella depredazione dei beni e nella deportazione di quella parte della popolazione costituente l’elite culturale ed artigiana.
- Solo dopo il 70 e.v. anche da parte dei romani venne attuata la deportazione per domare le continue ribellioni del popolo ebraico.
Parrebbe di poter confermare quindi che questa maledizione possa riferirsi all’occupazione romana , sempre travagliata e contrastata fino al suo tragico epilogo avvenuto prima con la distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme del 70 e.v. e dopo, nel 135 e.v., con la sconfitta di Bar Kochba, che impersonò l’ultimo tentativo ebraico di mantenere in vita uno stato nazionale.

Ma ancora l’enunciazione delle maledizioni prosegue, preannunciando la diaspora del popolo ebraico, che noi sappiamo essere avvenuta una prima volta ad opera di Tito nel 70 e.v. ed una seconda volta nel 1492 e.v. con la cacciata dalla Spagna:

Ti disperderà il Signore fra tutti i popoli da un’estremità all’altra della terra e là tu servirai altri dèi che non conoscesti né tu né i tuoi padri, idoli di legno e di pietra. Fra quelle nazioni non avrai sollievo né avrà riposo la pianta del tuo piede; il Signore ti darà là un cuore timoroso, degli occhi languenti e uno spirito amareggiato.

L’ultima maledizione dell’elenco predice il ritorno in Egitto per essere messi in vendita al mercato degli schiavi, senza trovare peraltro compratore.

Si chiude la parashà, all’inizio del capitolo 29, con l’esortazione al rispetto della legge del Signore:

Osservate dunque le parole di questo patto ed eseguitele in modo che possiate riuscire in tutto ciò che farete.

Shavuà tov.
Danièl Siclari


Haftarà di Ki Tavò
secondo il rito italiano
(Gio.8,30-9,27)

La Haftarà narra di come Giosuè dette esecuzione a quanto comandato nella parashà riguardo allo scrivere la Torà sulle pietre ed alla proclamazione delle benedizioni sul monte Gherizim e delle maledizioni sul monte Eval.

Queste azioni messe in atto da Giosuè suscitarono allarme in tutti i re delle popolazioni insediate nella terra di Canaan, i quali, sentendosi minacciati, si allearono per combattere contro Israele.

Gli abitanti di Ghivon, che avevano avuto notizia della distruzione delle città di Gerico ed Ai operata da Giosuè, decisero di agire con astuzia. Si travestirono, pertanto, indossando abiti logori e presero con sé del pane raffermo e ammuffito e si recarono da Giosuè dicendogli che essi venivano da tanto lontano, e prova ne erano gli abiti logori ed il pane ammuffito, e che desideravano sottomettersi e stipulare un patto di pace con il popolo d’Israele.

Impietositisi gli Israeliti alla vista di quei poveretti, Giosuè stipulò con loro un patto di pace e promise di lasciarli in vita.

Tre giorni dopo, però, Giosuè venne a sapere che essi avevano mentito e che non venivano da lontano, ma abitavano la terra confinante. Allora Giosuè mandò a chiamarli e chiese loro perché mai avessero mentito ed essi risposero di avere così agito per paura di essere sterminati.

Li salvò Giosuè dalla mano dei figli d’Israele, che non li uccisero, ma essi furono schiavi per sempre addetti a tagliare la legna ed ad attingere l’acqua a servizio del popolo e dell’altare del Signore.


Haftarà di Ki Tavò
secondo i riti spagnolo e tedesco
(Is.60,1-60,22)

“Figli di stranieri costruiranno le tue mura, i loro re ti serviranno, perché Io ti avevo bensì colpita con il Mio furore, ma con la Mia benevolenza ho di te misericordia. Le tue porte saranno continuamente aperte giorno e notte, non verranno mai chiuse, perché ti venga recata la ricchezza delle genti ed a te siano condotti i re. Si, le genti ed i regni che non ti serviranno periranno, e quelle genti saranno distrutte.”

“E i figli di coloro che ti avevano tormentata verranno a te a capo chino, e tutti quelli che ti avevano oltraggiata si prostreranno ai tuoi piedi e ti chiameranno città del Signore Santo d’Israele.”

“Non si udrà più parlare di violenza nel tuo paese, di saccheggio e di rovine nel tuo territorio e tu chiamerai le tue mura mura di salvezza, e le tue porte porte di lode. Non sarà più il sole a farti luce di giorno, né sarà la luna che ti illuminerà per darti chiarore, il Signore sarà la tua luce per sempre, e il tuo D-o sarà la tua gloria.”




domenica 11 agosto 2013

KI TETSE' (De.21,10-25,19)

Prosegue anche in questa parashà l’enunciazione delle numerose prescrizioni trasmesse da Mosè al popolo nell’imminenza dell’ingresso nella terra promessa. L’insieme di queste prescrizioni configurano una sorta di “codice civile” che fornisce gli orientamenti da seguire per la varia casistica di rapporti sociali, che il popolo si troverà a dover affrontare.

Le prescrizioni impartite per i vari argomenti sono qui di seguito riportate.

1) LE DONNE DEI VINTI
Nel caso in cui un uomo si invaghisca di una donna avuta come prigioniera:
“… se vedrai fra i prigionieri una donna di bell’aspetto e te ne innamorerai e la vorrai prendere in moglie, dovrai condurla nella tua casa ed essa si raderà i capelli e si taglierà le unghie, quindi si toglierà le vesti dei prigionieri e rimarrà in casa tua piangendo suo padre e sua madre per un intero mese; dopo di che potrai unirti con lei e sarà per te una moglie. Ma se poi non ti piacesse più la dovrai mandare libera dove essa vorrà e non la potrai vendere per denaro, non potrai più trattarla da schiava dopo che è stata tua moglie.”
Per poter affermare che la tutela della donna prigioniera presa in moglie fosse integrale manca una sola cosa, ma fondamentale: il consenso di lei. Al di là di questo aspetto, la norma è improntata al rispetto per la donna dei vinti, sia per quanto riguarda il dolore per la perdita dei suoi cari, sia per il suo status che sarà quello di moglie e non di schiava, né sarà mai schiava anche in caso di ripudio.

2) IL DIRITTO DI PRIMOGENITURA
Si fa quindi il caso di un uomo che abbia due mogli e si detta la norma sulla intangibilità dei diritti del primogenito, anche nell’ipotesi in cui la madre di questi non sia più la favorita del padre.

3) IL FIGLIO TRAVIATO E RIBELLE
Segue una norma di estrema severità che riguarda il figlio traviato e ribelle, che non dà più ascolto né al padre, né alla madre. I suoi genitori lo condurranno davanti agli anziani della città e diranno:
“Questo nostro figlio è traviato e ribelle; non ci dà ascolto e mangia e beve eccessivamente.”
Il verdetto degli anziani sarà di morte per lapidazione:
“Tutti gli uomini della città lo lapideranno ed egli morrà e toglierai il male da mezzo a te e tutto Israele udrà ed avrà timore.”
Proprio queste parole ci fanno comprendere quale sia la motivazione principale della pena di morte per il figlio ribelle e traviato. Il motivo principale non è tanto da collegarsi alla colpa di aver arrecato continua sofferenza ai propri genitori. La sua eliminazione con la pena di morte si rende necessaria principalmente per una motivazione sociale, che è quella di impedire la proliferazione nel popolo d’Israele del germe della ribellione e della perversione.

4) LA SEPOLTURA DEL GIUSTIZIATO
Il cadavere del giustiziato, non dovrà rimanere esposto nella notte, ma dovrà essere seppellito nello stesso giorno.
“… lo dovrai seppellire in quello stesso giorno perché il cadavere appeso è causa di maledizione da parte di Dio e tu non renderai impuro il territorio che il Signore tuo Dio è per darti in retaggio.”
Anche qui queste parole ci rivelano che la motivazione quindi non è una sorta di “pietas” nei riguardi del giustiziato, bensì il rispetto per la creazione del Signore, che fece l’uomo a sua immagine e somiglianza e per il territorio della terra promessa che, in quanto tale, è da ritenere puro, non contaminato. Ricordiamoci a questo proposito che il morto rende impuro l’ambiente dove si trova e chi gli si accosta e cIò, come già abbiamo visto in una precedente parashà, perché il morto non potrà più presentare sacrifici né formulare preghiere per il Signore e perciò non avrà la possibilità di purificarsi.

5) RESTITUZIONE DI ANIMALI E COSE
E’ stabilito l’obbligo di restituire al proprietario, confratello ebreo, ogni animale ed ogni cosa che questi avesse perduto.

6) SOCCORSO AGLI ANIMALI
L’asino o il toro di un confratello ebreo che cadono per la strada dovranno essere aiutati a rialzarsi.

7) INDUMENTI MASCHILI E FEMMINILI
Si stabilisce il divieto di indossare indumenti propri dell’altro sesso.

8) IL NIDO DEGLI UCCELLI
Incontrando un nido con uova e pulcini e con la madre che sta covando, non si dovrà prendere la madre, ma si potranno prendere le uova ed i pulcini, dopo aver allontanato la madre.

9) RINGHIERE DELLE TERRAZZE
E’ una norma antinfortunistica che prescrive che le coperture a terrazza siano dotate di protezioni perimetrali.

10) NON SEMINARE SEMI DI VARIA SPECIE NELLA TUA VIGNA
11) NON METTERE A GIOGO INSIEME UN ASINO E UN TORO
12) NON INDOSSARE LANA E LINO TESSUTI INSIEME
13) I VESTITI AVRANNO FILI INTRECCIATI AI QUATTRO ANGOLI

14) VERGINITA' DELLA SPOSA
Se un uomo sposa una donna, si unisce a lei e la accusa di non essere stata vergine, i genitori di lei porteranno agli anziani il lenzuolo per provare la verginità della figlia. Se verrà accertata la verginità il marito dovrà pagare cento monete d’argento al padre di lei. Se invece risulterà fondata l’accusa del marito, la ragazza verrà messa a morte per lapidazione.

15) ADULTERIO
Gli adulteri saranno messi a morte, sia che si tratti di donna sposata, sia che si tratti di vergine promessa sposa.

16) LA VIOLENZA AD UNA DONNA SPOSATA SARA' PUNITA CON LA MORTE
17) LA VIOLENZA AD UNA VERGINE SENZA VINCOLI MATRIMONIALI DARA' LUOGO AD UN INDENNIZZO DI CINQUANTA MONETE D'ARGENTO AL PADRE DELLA RAGAZZA ED INOLTRE ALL'OBBLIGO PER IL VIOLENTATORE DI SPOSARLA
18) UN UOMO NON SPOSERA' LA MOGLIE DEL PADRE
19) NON POTRA' CONTRARRE MATRIMONIO CHI NON ABBIA I GENITALI INTEGRI, NE' I NATI DA INCESTO O ADULTERIO

20) NON SI POTRA' CONTRARRE MATRIMONIO CON MOABITI E AMMONITI
Salvo evidentemente il caso in cui questi abbandonino il proprio popolo e le sue usanze per abbracciare quelle di Israele. Ricordiamo che la moabita Rut abbandonò il suo paese ed il suo Dio per entrare nel popolo d’Israele e divenire progenitrice di re David.

21) IDUMEI ED EGIZIANI NON SARANNO ABORRITI ED I FIGLI CHE NASCERANNO DA LORO E DA DONNA EBREA ALLA TERZA GENERAZIONE FARANNO PARTE DEL POPOLO D'ISRAELE

22) NEGLI ACCAMPAMENTI MILITARI DOVRANNO ADOTTARSI MISURE DI PURITA'
“Poiché il Signore tuo Dio cammina in mezzo al tuo accampamento per salvarti e per consegnarti i tuoi nemici, il tuo campo dovrà essere come cosa sacra.”

23) OFFRIRE PROTEZIONE ALLO SCHIAVO CHE SARA' FUGGITO DAL SUO PADRONE
24) NEL POPOLO D'ISRAELE NON VI SARANNO NE' PROSTITUTE NE' PEDERASTI

25) NON PRESTARE DENARO AD INTERESSE AD UN ALTRO EBREO, mentre si potrà fare con lo straniero.
Curiosamente questa norma venne recepita inizialmente dal cattolicesimo, invertendone però i soggetti e quindi i cattolici non potevano prestare ad interesse, mentre questa attività avrebbe potuto essere svolta dagli ebrei. I predicatori cattolici finché il prestito fu gestito da ebrei chiamarono il denaro “lo sterco del Demonio”, poi la Chiesa inventò i Monti di Pietà o Banchi di Pegno nei quali il prestito ad interesse, specialmente verso le classi più povere, venne soppiantato dal prestito su pegno. La forma era salva, la sostanza un po’ meno, perché mentre in precedenza il tasso massimo d’interesse era fissato dal sovrano, per quello che riguardava il valore dei pegni tutto era affidato alla stima del momento fatta dal Banco.

26) VOTI FATTI AL SIGNORE
“Quando farai un voto al Signore tuo Dio, non dovrai tardare ad adempierlo perché il Signore tuo Dio te lo richiederebbe ed in te si troverebbe il peccato. Se invece cesserai di fare voti, non ci sarà in te peccato. Ciò che prometterai dovrai mantenere, donando quanto hai fatto voto di offrire al Signore Dio tuo profferendolo con la tua bocca.”
Per arrivare a dire questo significa che già all’epoca esisteva l’umano malvezzo di promettere e non mantenere.

27) NELLA VIGNA DEL COMPAGNO
Potrai mangiare uva quanta ne vuoi, ma non potrai portarla via. La stessa cosa nel campo di grano: potrai raccogliere le spighe con la mano, ma non userai la falce.

28) LA DONNA RIPUDIATA
La donna ripudiata dal marito sarà libera di unirsi con un altro uomo, ma se verrà ripudiata anche da questo, non potrà mai tornare al primo marito.

29) ESENZIONE DAL SERVIZIO MILITARE
Chi sposa una ragazza nubile è esentato per un anno dal prestare servizio militare.

30) LE MACINE DEL DEBITORE
Mai potranno prendersi in pegno le macine del debitore.

31) RAPIMENTO E SCHIAVITU'
Chi rapirà una persona ebrea, per farne uno schiavo e venderlo sarà messo a morte.

32) DOVRANNO ESEGUIRSI LE PROCEDURE DI PURIFICAZIONE IN CASO DI LEBBRA E MALATTIE CONTAGIOSE

33) PRESTITO SU PEGNO
Non si dovrà entrare nella casa del debitore, ma aspettare fuori di essa che egli porti il pegno pattuito. Se sarà fatto prestito su pegno ad un povero, il pegno dovrà essergli restituito prima del tramonto.

34) OCCORRE PAGARE GIORNALMENTE IL COMPENSO PATTUITO AL SALARIATO

35) LA RESPONSABILITA' E' PERSONALE
“I padri non periranno per le colpe dei figli e i figli non moriranno per i padri; ognuno perirà per la propria colpa”.

36) IL FORESTIERO, L'ORFANO E LA VEDOVA
Quando raccoglierai il frutto della tua terra, sia esso il campo di grano, o l’uliveto, o la tua vigna, dimentica i residui e lascia che possano essere racimolati dal forestiero, dall’orfano o dalla vedova.

37) FUSTIGAZIONE
La condanna alla fustigazione non potrà prevedere più di quaranta colpi.

38) JIBBUM
Se un uomo sposato muore senza figli, la vedova dovrà andare sposa al cognato (javam) per dare la possibilità al morto di avere figli che perpetuino il suo nome. Se il cognato dovesse rifiutare, la cognata si avvicinerà a lui, in presenza degli anziani, gli toglierà la scarpa dal piede e sputerà davanti a lui dicendogli:
“Così sia fatto all’uomo che rifiuta di costruire la casa del proprio fratello.”
E il nome di lui sarà da allora in poi: la famiglia dello scalzato.

39) SIA MESSA A MORTE LA DONNA CHE AFFERRI I TESTICOLI DELL'UOMO CHE STA PERCUOTENDO SUO MARITO
409 NON ADOPERARE PESI E MISURE FALSI
41) RICORDATI DI AMALEC E DI CIO' CHE TI FECE QUANDO USCISTI DALL'EGITTO




Haftarà di Ki Tetzè
secondo il rito italiano
(Sam.17,1-17,37)

i Filistei si trovavano da una parte della montagna, gli Israeliti dall’altra, e in mezzo era la valle. Dalle schiere dei Filistei uscì allora un intermediario di nome Goliath. Egli era alto sei cubiti e un palmo, aveva sul capo un elmo di rame, indossava una corazza di rame fatta a scaglie, che pesava cinquemila sicli, sulle gambe aveva gambiere di rame e fra le spalle un’asta di rame.

E disse ad alta voce Goliath rivolto alle schiere d’Israele:

Scegliete un uomo che scenda a me. Se egli, combattendo contro di me, riuscirà a percuotermi a morte, noi saremo vostri schiavi, e se io lo vincerò e lo percuoterò a morte, sarete voi nostri schiavi e ci servirete.

Alle parole del Filisteo, Saul e tutto Israele furono pervasi da grande spavento. Per quaranta giorni Goliath si presentò davanti al campo degli Israeliti, senza che nessuno di loro fosse stato prescelto a battersi con lui.

Un giorno arrivò al campo israelita un giovanetto di nome David, che era stato inviato da suo padre per portare delle provviste ai suoi fratelli maggiori, i quali prestavano servizio al seguito di Saul. David era al campo quando Goliath per l’ennesima volta lanciò ad alta voce la sua sfida alle schiere d’Israele.

David allora prese a chiedere ripetutamente a quanti gli stavano accanto:

Che cosa si farà all’uomo che riuscirà a colpire a morte quel Filisteo, e così libererà Israele dalla sua onta? Chi è poi questo Filisteo incirconciso che ha insultato le schiere del D-o vivente?

E seppe così David che a chi fosse riuscito nell’impresa il re avrebbe dato grandi ricchezze e sua figlia in moglie e la sua famiglia sarebbe stata inoltre liberata da ogni gravame fiscale.

Venuto a conoscenza dei discorsi di quel giovinetto, Saul lo fece venire a sé e al suo cospetto David disse:

Nessuno si perda d’animo per quell’uomo, io stesso tuo servo andrò a combattere con questo Filisteo.

Saul obiettò:

“Non puoi andare a combattere con questo Filisteo, perché tu sei un ragazzo, mentre egli è un uomo adulto, guerriero fin dalla sua giovinezza.

E David gli rispose:

Io, tuo servo, conducevo al pascolo le pecore di mio padre; venne un leone, ed anche un orso, e prese un agnello dal gregge. Io allora lo rincorsi, lo colpii, salvai la preda dalla sua bocca; la belva si scagliò allora contro di me, ed io la presi per la criniera e la colpii a morte. Io, tuo servo, ho colpito a morte il leone e l’orso, e questo Filisteo incirconciso avrà la medesima sorte perché ha insultato le schiere del D-o vivente.

E soggiunse:

Il Signore che mi ha salvato dal leone e dall’orso mi salverà da questo Filisteo.

Saul gli disse allora:

Va’, e il Signore ti accompagni.




Haftarà di Ki Tetsè
Secondo i riti spagnolo e tedesco
(Is.54,1-54,10)

Inneggia o sterile, che non avevi partorito; emetti grida di gioia e giubila, tu che non avevi avuto le doglie, perché i figli di colei che era solitaria saranno più numerosi di quelli di colei che ha marito, ha detto il Signore.

Non temere e certamente non resterai delusa; non vergognarti; certamente non arrossirai; anzi dimenticherai la vergogna della tua giovinezza, e non ricorderai più l’onta della tua vedovanza.

In un impeto d’ira ti ho per un istante nascosto la Mia faccia ma con favore eterno avrò pietà di te, detto del Signore.




domenica 4 agosto 2013

Shofetim (De.16,18-21,9)

Mosè rammenta al popolo la prescrizione ricevuta di procedere alla nomina di giudici e di funzionari di sorveglianza, che dovranno risiedere in ciascuna delle città che il Signore vorrà concedere ad Israele, e che avranno il compito di giudicare il popolo “con vera giustizia” e vigilare sulle questioni che dovessero insorgere nell’ambito della loro comunità.

Non torcere il diritto, non avere riguardi di sorta e non farti corrompere perché il prezzo della corruzione accieca gli occhi dei saggi e rende tortuose le parole dei giusti. La giustizia la vera giustizia seguirai affinché tu viva ed erediti la terra che il Signore tuo Dio sta per darti.

Queste sono le parole rivolte al popolo, che indicano il corretto comportamento cui ciascuno dovrà attenersi, in particolare se dovrà svolgere la funzione di giudice o di funzionario di polizia o amministrativo. Sono direttive di grande valore etico, che parrebbero a prima vista di facile e naturale attuazione, eppure, se ci guardiamo intorno e consultiamo i mezzi d’informazione, possiamo accorgerci di quanto invece al giorno d’oggi siano troppo spesso disattese.

Non torcere il diritto” dice Mosè, ma noi a questo proposito nell’assistere al giorno d'oggi all’operato di giudici ed avvocati abbiamo la sensazione che spesso il diritto fissato nei codici venga non solamente approfondito ed interpretano, ma anche deformano, ed a volte sovvertito. L’attività di interpretazione è di per sé lecita, anzi doverosa, perché ogni questione portata in giudizio ha una propria particolarità ed è appunto per questo che l’attività di giudici ed avvocati è meritoria quando si prefigge di cogliere le particolarità del singolo caso ed alla luce di queste particolarità e dei codici arrivare ad un equo giudizio. Ma può capitare a volte che il pensiero e l’operato di giudici e funzionari sia influenzato da alcuni fattori che con la giustizia hanno poco a che spartire, questi fattori d’influenza sono essenzialmente connotati da interessi di potere o da interessi economici o, in alcuni casi, da posizioni precostituite personali, o ancora da paura.

Le ingerenze possono verificarsi, ad esempio, quando si debba giudicare l’operato di un “potente” dal punto di vista politico, o economico, o che comunque occupi una posizione di rilievo sociale. Queste ingerenze possono provenire teoricamente dalle due opposte fazioni dei sostenitori e dei detrattori del personaggio, ma poiché in realtà questi fatti avvengono quando il partito dei detrattori sta già prevalendo sull’altro, ecco che le pressioni saranno sostanzialmente quelle intese ad arrivare ad un giudizio sommario di condanna. Nel manifestare queste pressioni si faranno balenare a chi deve esprimere il giudizio, in modo più o meno larvato, i vantaggi per incarichi politici, professionali o di carriera, che sostanzierebbero la riconoscenza per una sentenza orientata in senso favorevole.

E non mi si dica che queste cose non succedono perché io ricordo di avere assistito personalmente ad un‘arringa di un Procuratore della Repubblica, il quale a sostegno della propria accusa dava lettura pubblica di un articolo di legge, omettendone però una riga del testo, con il risultato di stravolgerne e sovvertirne il significato, sicchè un fatto lecito diveniva con tale lettura illecito. Per sua fortuna l’indagato, che evidentemente era ben preparato in materia, contestò la citazione e le conclusioni del Procuratore, ottenendo l’immediata lettura integrale dell’articolo di legge ed ebbe modo, durante tale lettura, di evidenziare il passo della legge che sanciva la liceità del fatto contestato.

Il fatto si commenta da sé a proposito della prescrizione impartita di “Non torcere il diritto”.
Le corruzioni, per denaro, per carriera, per paura sono mali diffusi. Purtroppo veniamo a conoscenza giornalmente di questi episodi, i media parlano generalmente dei fatti più eclatanti, che fanno scalpore per dimensione o per calibro dei personaggi che vi si trovano invischiati, ma ci sono moltissimi casi minori di “bashish” pagati, anche a livello infimo, per ottenere senza ostruzionismi ciò di cui si ha diritto .”Il prezzo della corruzione acceca gli occhi dei saggi e rende tortuose le parole dei giusti” così dice Mosè perché la corruzione è una malattia, è un vizio, è una droga dalla quale il corrotto non riesce più a liberarsi, perché la corruzione modifica la sua visuale del mondo e distrugge l’etica scacciandola dalla sua vita. Il corrotto è perduto, si è allontanato dal Signore ed ha eretto nuovi idoli da adorare che sono generalmente il potere ed il denaro.

Si badi bene che la corruzione e il perseguimento dell’interesse personale fino al punto di stravolgere la giustizia sono manifestazioni di idolatria. L’idolatria nella nostra società civilizzata e disincantata non consiste più nel collocare un idolo di pietra o di legno su un piedistallo per adorarlo, il “vitello d’oro” non è più la statua da identificare con la divinità. L’idolatria oggi significa per lo più adorare se stessi ed i propri desideri, significa porre la propria persona con i suoi egoismi su un piedistallo da adorare, significa non ascoltare né la voce del Signore, né quella degli altri, fino al punto di non comprenderne le esigenze e le ragioni, significa chiudersi in un involucro dal quale gli altri sono esclusi, significa perdere la capacità di vedere nell’altro un proprio simile, con lo stesso bagaglio di sentimenti, aspirazioni, sofferenze e ciò qualunque sia la sua appartenenza sociale, etnica o di religione.

Se in una delle città che il Signore sta per dare ad Israele, si venisse a sapere che un uomo o una donna praticano l’idolatria, dovrà farsi un’inchiesta e se ciò risultasse vero, l’uomo o la donna saranno condotti fuori dalla città e messi a morte per lapidazione. La condanna a morte potrà avvenire se ci sarà la deposizione di due o tre testimoni. Non si potrà condannare a morte per la testimonianza di un solo testimone. I testimoni scaglieranno loro stessi la prima pietra.

Se una causa è particolarmente controversa, sicché il Tribunale locale non riesce a dirimerla, la questione dovrà essere sottoposta a Gerusalemme ai Sacerdoti ed al Giudice in carica che esprimeranno il verdetto. Chi rifiutasse di sottostare a questo verdetto verrà messo a morte.

Quando il popolo si sarà stabilito nella terra promessa, qualora desiderasse avere, come le altre nazioni che gli stanno intorno, un re a proprio capo, il re sarà quello che Dio sceglierà e sarà un ebreo. Questo re dovrà rifuggire da manifestazioni di sfarzo, potenza e ricchezza. Non aumenterà il numero dei suoi cavalli, né quello delle sue donne, né ammasserà troppo argento e oro. Sono idoli anche questi ed il re dovrà sottrarsi dall’adorarli.

Quando egli sarà sul trono del suo regno dovrà scrivere per suo uso una copia di questa legge su di un libro copiandola da quella che posseggono i sacerdoti della tribù di Levi. La terrà con sé e la leggerà per tutta la sua vita per apprendere a temere il Signore suo Dio, per osservare tutte le parole di questa legge e questi statuti onde eseguirli, affinché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli e non si allontani in alcun modo dai precetti, onde prolunghi i giorni del suo regno, egli ed i suoi figli, in mezzo a Israele.

Al capitolo 18 Mosè precisa quali siano i diritti dei sacerdoti sulle offerte presentate al Tempio, sia per quanto riguarda gli animali, sia per i prodotti agricoli, sia per la prima tosatura del gregge.
E se un Levita di una qualunque città del territorio d’Israele desiderasse prestare servizio al Tempio, come i suoi fratelli Leviti che stanno già là, davanti al Signore, lo potrà fare e mangiare insieme e divideranno tutto in parti uguali ad eccezione dei proventi che al Levita derivano dall’eredità dei padri.

Mosè ammonisce nuovamente il popolo a non lasciarsi tentare dal seguire i riti e le usanze abominevoli delle popolazioni che dovranno essere scacciate dalla terra promessa, le quali avevano tra l’altro l’usanza di prestare ascolto ad indovini, maghi,stregoni, incantatori, necromanti. Mosè dice che il Signore potrà anche far sorgere un profeta dal popolo d’Israele e che a lui dovrà prestarsi ascolto, se sarà un vero profeta, ma sarà messo a morte se invece sarà falso.

Un profeta Io farò sorgere per loro da mezzo ai loro fratelli come te e metterò nella sua bocca le Mie parole sì che egli possa dire ciò che gli comanderò. E a quell’uomo che non ubbidirà alle Mie parole che egli pronunzierà in Mio nome, Io gliene domanderò conto. Ma quel profeta che oserà dire qualsiasi cosa in Mio nome, cosa che Io non gli ho comandato di dire o che la riferirà in nome di altri dèi, quel profeta morirà.

Il capitolo 19 inizia con la trattazione relativa alle tre città rifugio, che dovranno essere individuate tra tutte quelle della terra promessa, una volta che questa sarà stata conquistata, e nelle quali ogni omicida potrà trovare asilo, sfuggendo alla vendetta dei parenti dell’ucciso, sempre che la morte di questi sia avvenuta per un incidente non voluto e senza odio.

E ciò affinché il vindice del sangue non insegua l’omicida, mentre il suo cuore arde d’ira, e non lo raggiunga perché la strada da percorrere è lunga e non lo uccida mentre egli in effetti non è passibile di morte in quanto non aveva mai odiato per il passato l’ucciso.

Se il Signore ingrandirà il territorio assegnato ad Israele rispetto a quello promesso ai suoi padri, allora si dovranno aggiungere altre tre città rifugio alle tre già designate. Se un assassino, che abbia ucciso per odio e intenzionalmente una persona, cercherà rifugio in una di queste città, gli anziani lo faranno consegnare al vendicatore ed egli sarà ucciso.

Segue quindi una breve prescrizione riguardante l’inviolabilità dei confini agricoli, e anche questa che ci appare una prescrizione ovvia, di fatto tanto ovvia non è quando si pensi che in alcune delle nostre regioni italiane i confini delle proprietà agricole sono formati sul territorio con cumuli di pietrame, che, nottetempo o durante l’assenza di un proprietario, vengono spostati, secondo un malvezzo diffuso al punto tale da rendere irriconoscibile la situazione dei possessi indicata dalle mappe catastali.

Si parla quindi del falso testimone, al quale sarà da infliggere come punizione ciò che egli aveva pensato di fare a danno del suo fratello e qui Mosè pronuncia le parole emblematiche della cosiddetta "legge del taglione":

Non dovrai avere pietà; vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede.

In merito a queste parole è da segnalare la nota in Esodo 21,24 inserita nel testo del Tanàk a cura di Rav Dario Di Segni:

La Legge orale spiega che qui si tratta di risarcimento pecuniario secondo la gravità del danno. Le locuzioni: occhio per occhio ecc., nella lingua metaforica della Torà significano che le lesioni porteranno conseguenze di danni o interessi proporzionate all’importanza dell’organo colpito o all’intensità del dolore.

Personalmente penso che, se si decide di abbandonare il senso letterale della legge del taglione, allora si può stabilire sia una pena, sia un risarcimento. Quest’ultimo può essere pecuniario, ma la pena può anche prevedere ad esempio la fustigazione, o la detenzione.

Il capitolo 20 è dedicato alle prescrizioni della guerra. Quando ti sembrerà che il tuo nemico sia più agguerrito e più forte di te, ricorda, dice Mosè, che il Signore, Colui che ti trasse fuori dall’Egitto, è con te: questo ti dirà il Sacerdote quando sarai prossimo alla battaglia.
Seguono delle disposizioni che i comandanti daranno per esentare dalla guerra chi avrà costruito una casa nuova e non l’abbia ancora inaugurata; chi abbia fatto promessa di matrimonio, ma non abbia potuto ancora sposarsi; chi abbia piantato una vigna e non ne abbia ancora mangiato i frutti; ma anche disporranno che torni a casa chi abbia poco coraggio e rischi con la sua presenza di scoraggiare anche i suoi fratelli.

Quando ti avvicinerai ad una città per combattere contro di essa dovrai offrirle la pace.

Ma se l’offerta non sarà accettata, prosegue Mosè, la espugnerai e, quando l’avrai conquistata, passerai a fil di spada tutti gli uomini. Le donne, i bambini, gli animali ed i beni che troverai saranno il bottino di guerra del popolo d’Israele. Con questa distruzione si ribadisce ancora che ha la finalità è quella di impedire la propagazione dell’idolatria da quelle popolazioni al popolo d’Israele.

Chiude il capitolo 20 la prescrizione di non distruggere gli alberi da frutto delle città assediate:

Infatti è forse l’albero del campo come un uomo che può a causa tua ritirarsi in luogo fortificato?

La parashà conclude con la prima parte del capitolo 21 dove vengono dettate le prescrizioni sugli adempimenti necessari nel caso in cui venga trovato un uomo ucciso in un campo e non si sappia chi l’abbia ucciso. Si tratta del rito di purificazione cui sarà tenuta la città più vicina e che verrà eseguito dagli anziani della città, i quali condurranno una giovenca che non abbia mai lavorato sul letto sassoso di un torrente asciutto e qui l’uccideranno e reciteranno la preghiera per il perdono:

Le nostre mani non hanno versato questo sangue ed i nostri occhi non hanno veduto. Perdona il Tuo popolo, Israele, che Tu hai redento, o Signore, e non dargli la responsabilità di questo sangue innocente versato in mezzo al tuo popolo Israele, sì che possa essere loro perdonato il sangue versato.

Danièl Siclari


Haftarà di Shofetim
Secondo il rito italiano.
(Sam.8,1-8,22)

Il popolo va dal vecchio Samuele e gli chiede di provvedere alla nomina di un re, che sia il loro capo e li conduca a somiglianza degli altri popoli.
Samuele si rivolge al Signore, che gli dice:

Da’ retta al popolo quanto a tutto ciò che ti hanno detto: non te essi hanno rifiutato come loro capo, ma Me. …. Da’ dunque retta a loro, e da’ loro degli avvertimenti dicendo loro quale sarà il modo di procedere del re che sarà loro capo.

E li avvertì Samuele di tutte le privazioni che sarebbero loro derivate dall’avere costituito un re, ma loro insistettero.

No! Noi vogliamo avere un re, per essere anche noi come tutti gli altri popoli e perché il re sia il nostro capo e vada davanti a noi per combattere le nostre guerre.



Secondo i riti spagnolo e tedesco.
(Is.51,12-52,12)

Svègliati, svègliati, sorgi, Gerusalemme che hai bevuto dalla mano del Signore il calice del Suo furore, hai bevuto e succhiato la coppa del veleno. Essa non aveva guida fra tutti i figli che aveva dati alla luce, nessuno vi era che la prendesse per mano fra tutti i figli che aveva allevati. Due sventure ti hanno colpita – e chi potrebbe confortarti?- il saccheggio, la rovina, la fame e la spada.

Perciò ascolta questo, tu, afflitta ed ebbra non di vino. Così ha detto il tuo padrone, il Signore, il tuo D-o che prenderà le parti del Suo popolo. Ecco ti ho tolto di mano il calice del veleno, la coppa calice della Mia ira, non lo berrai più, e lo darò in mano a coloro che ti hanno fatto soffrire, che ti hanno detto: ‘Chinati che vogliamo passarti sopra’, e ai quali hai presentato il tuo corpo come se fosse il terreno, e come una strada per i passanti.

Svègliati, svègliati, rivèstiti della tua forza, o Sion ,indossa i tuoi abiti splendidi, o Gerusalemme, città santa, ché non entreranno più in te l’incirconciso e l’impuro.

Intonate insieme canti di gioia, o rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il Suo popolo, ha redento Gerusalemme. Il Signore ha denudato il Suo braccio santo agli occhi di tutti i popoli; tutta la terra, fino alle sue estremità, ha visto la salvezza recata dal nostro D-o.